Qui dovevo stare – Giovanni Dozzini

Qui dovevo stare – Giovanni Dozzini

Qui dovevo stare è il nuovo romanzo del giornalista e traduttore Giovanni Dozzini, edito da Fandango Libri. È un libro per certi versi difficile da leggere, ma una volta letto per intero, il suo significato è potente. Personalmente, lo definirei una storia di conversione politica.


«E io non vedo nessuna kefiah rossa e non vedo nessuna kefiah nera perché le zecche di oggi non sono più le zecche di ieri ma i centri sociali di oggi se esistono ancora devono somigliare ai centri sociali di ieri dove figli di papà che avevano fatto il Sessantotto venivano a giocare alla rivoluzione…»


Qui dovevo stare – Trama

Qui dovevo stare è un racconto in soggettiva, il lettore non esce mai dalla testa del protagonista Luca Bregolisse, detto il Brego, imbianchino di quarant’anni che vive con la sua famiglia nella provincia perugina. Il racconto è declinato in circa tre settimane, dove, pian piano che proseguiamo nella lettura, arriviamo all’epilogo delle premesse della prima settimana di narrazione.

Il Brego ha una vita normale, fatta dai pranzi a casa con sua moglie Pam Pamela e con la piccola Caterina; ha una sorella che abita al piano di sopra e che non vede mai, un padre rimasto vedovo troppo presto e che passa le sue giornate all’orto; trascorre le sere al bar del paese – ora di proprietà di un cinese – in cui si incontra con il suo migliore amico, il Tordo; ha un lavoro onesto ma faticoso come quello dell’imbianchino, con un dipendente marocchino, Nabil, che nelle tre settimane di narrazione non troppo ne vuole sapere di lavorare, a causa della sparizione di suo figlio Massimino – Mohamed – che a soli sedici anni è già uno spacciatore.

Tutto l’arco narrativo segue le maglie dei pensieri del Brego; è così che si avanza nei fatti, nei dialoghi e nelle situazioni che il protagonista vive in prima persona, nelle settimane che anticipano il grande giorno e che il lettore conoscerà solo alla fine del libro. Nel frattempo il Brego, che vorrebbe vivere tranquillamente, portando a casa la pagnotta e sentendosi sicuro delle proprie poche – pochissime – certezze, si trova coinvolto nelle vicende della famiglia di Nabil, il suo dipendente marocchino. Suo malgrado si troverà ad aiutarlo, sotto le pressioni di Pam, preoccupata per Fatima, moglie di Nabil.

Nel microcosmo della provincia, il Brego ci racconta con poche parole degli abitanti che da sempre conosce, dei luoghi dell’infanzia e del degrado odierno di quella che era considerata una delle provincie rosse italiane. L’accento è puntato, particolarmente, sulla presenza capillare di stranieri, sulla loro condotta, sui loro lavori e sui loro usi e costumi, che mai si integrano con quelli dei paesani.

Presenza costante nella vita del Brego è sua madre, morta sei anni due mesi e svariati giorni prima, a causa di un brutto male, e che da quel momento si è piazzata in alto a destra tra il sopracciglio e la tempia del protagonista, assistendo arrabbiata, divertita, complice, nemica alla vita del figlio.

Perché leggerlo

Qui dovevo stare è il racconto disilluso e ironico di ciò che è successo all’Italia, ai quei centri che un tempo si definivano comunisti e che poi sono diventati la culla del razzismo. Il Brego racconta della sua infanzia accanto al padre, alla Casa del Popolo, quando si andava a votare per il partito della falce e del martello; alle feste dell’Unità; alla kefiah rossa che indossava. Ricorda tutto con la disillusione di chi ha visto le promesse di integrazione e fratellanza e di diritti al popolo non mantenute; di chi vive in una città esasperata dal gioco d’azzardo, dalla droga, dalle rapine in casa; di chi non sa che farsene degli ideali del proprio padre, nonostante sia cresciuto con i medesimi valori. E allora, per non armarsi di fucile, sceglie la conversione politica, sceglie chi ha le sue stesse paure, le sue stesse fobie. Credendo di farlo per il bene di chi vuole bene.

Quello che ci ricorda questa storia, è quanto proprio il razzismo si fondi e si giochi sull’incapacità di alcune società di riuscire a tenere insieme adeguatamente, correttamente tutti i suoi pezzi. Ci ricorda di come gli schieramenti politici giochino a esasperare tale paura e tale incapacità per portarla a proprio favore. Come la partita si sviluppi nell’additare “l’altro”, in quanto è facile farlo, quando si vuole restare ignoranti.

Le province rosse si sono trasformate in province leghiste, dove l’odio è più facile dell’accoglienza. È questo che l’autore mette in scena con Qui dovevo stare, la giustificazione altruistica di un’intolleranza personale, mascherata da perbenismo; in un Paese dove vivere non è facile per nessuno, mentre prendersela con chi è più debole fa sempre troppo comodo.

Giovanni Dozzini, per raccontare la storia del Brego, sceglie un linguaggio che è una trappola, un flusso di coscienza dal quale non si può uscire, perché le maglie del ragionamento sono cucite strette strette. Ogni frase è costruita in maniera ridondante, riprendendo sempre la precedente per andare avanti solo di un’altra parola in più. I concetti, i pensieri, le fissazioni del protagonista sono ripetuti costantemente, come se una parola si tirasse dietro – pesantemente – il filo con tutte le altre.

Qui dovevo stare è una lettura opprimente, che fa mancare il fiato come mancano le virgole nel flusso lunghissimo di frasi. Il libro è un omaggio all’esaltazione e all’esasperazione: di un ragionamento, di un uomo, di una provincia, di un Paese.

Leggi le altre mie recensioni per Fandango Libri: L’Isola.


Titolo: Qui dovevo stare

Autore: Giovanni Dozzini

Editore: Fandango Libri

Anno: 2021

Pagine: 208

Voto: 4/5

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